Zizek – Dolar: La seconda morte dell’opera

Sarò folle, con la mia mediocre infarinatura di filosofia, ad affrontare un libro simile. Eppure è necessario leggerlo per avere uno spaccato del lavorio svolto dai registi moderni che tradiscono le opere che mettono in scena.

A parte che l’opera appare come il tradimento di una forma morta e sconosciuta che, per essere riportata in vita, deve venire reinventata di sana pianta e creata ex-novo, qui si tratta del miracolo dei vari Orfei che inaugurano la storia dell’opera, una storia che gli autori vogliono far concludere all’inizio dello scorso secolo come se Adès, Benjamin, Boesmans, Dusapin, la nostra Colasanti – giusto per citare qualcuno – non avessero mostrato la capacità di tenere in vita questo strano genere teatrale anche nel nostro tempo.

Bernstein diceva che cantare Ti amo è ben diverso dal limitarsi a dirlo. E in effetti è illuminante quanto si dice dell’aria, in cui in fondo non è affatto importante capire esattamente le parole perchè sono la musica e la voce ad esprimere tutto quanto dobbiamo conoscere.

E il Tristano? Zizek lo analizza a lungo, ne studia la vicenda, i possibili significati e le conclusioni che l’opera potrebbe avere. Lo colloca in un trittico ideale con Meistersinger e Parsifal. Mi domando però se abbiamo davvero bisogno di leggerne il libretto, se la musica non basta già a trasmetterci i fondamentali dell’opera.

Dal Tristano alle grandi incompiute del repertorio novecentesco il passo è brevissimo. Osservo però che Lulu era pochissimo incompiuta: Berg ne aveva scritto la Partizell per intero e quindi il lavoro di Cehra è stato tutto sommato semplice. Inutile pensare di completare il Mosè ed Aronne: l’urlo finale del profeta/compositore che non si può rivolgere direttamente al pubblico senza l’ausilio di un interprete rende superfluo il terzo atto.

Diverso il caso di Turandot. Qui Zizek dimostra che l’opera non è completabile, che la morte è intervenuta a fagiolo a interrompere un finale che sarebbe stato comunque posticcio. Già è problematico il Liebestod di Isotta, figuriamoci il risolvere l’impasse raffigurato dalla morte di Liù!

E infine il Mozart, maestro delle transizioni ma non nel senso wagneriano. In Dolar la transizione è dal mondo dell’assolutismo a quello della democrazia – leggi rivoluzione francese. Il ruolo del perdono, della clemenza e dell’eccezione alla legge è un tema vertiginoso in cui Monteverdi si trova a braccetto con il Divino Wolfgang.