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Museo Castelvecchio a Verona

Sono troppo snob per compiere il pellegrinaggio alla tomba e alla casa di Giulietta. Preferisco incontrare la sfortunata ragazzina al museo di Castelvecchio, dove assume le sembianze di una graziosa Santa Marta. Capelli biondi intrecciati cadono sulle spalle, occhi neri ed incarnato roseo, un abito complesso, pieno di bottoncini e ornamenti. Una linea da top model – non abbiamo inventato noi la dieta

e neppure la globalizzazione. Questa Madonna in un giardino chiuso popolato di uccelli esotici ed angeli dipinta da Stefano Boi la ho vista sul Reno, tra Colmar e Breisach. È il raffinato mondo del Roman de la Rose

ma anche di Pisanello. Mano virtuosa, che ricrea il fascino della natura. Ogni dettaglio, non solo la quaglia che denomina l’opera, è reso con pignola esattezza.

Trovo la stessa precisione in questo San Martino, educato, cortese, con una grazia da antico romano. Tracce di colore, eleganza, esattezza nel disegno del cavallo.

Questa Madonna in trono è attribuita ad Altichiero. Il rosso che allude alla Passione, lo scranno elaborato della Regina, la magia degli incarnati.

Palazzo Reali – Lugano

Siamo in centro città, vicinissimi alla chiesa di San Rocco. Volendo si può fare un biglietto cumulato con il LAC. Il museo è relativamente piccolo ma da non trascurare. Subito entrando ci viene proposto il lavoro più celebre, il Ritratto del padre di Serodine, forse meno impressionante del San Pietro esposto alla Zust di Rancate ma non per questo meno interessante.

Mi sono piaciute molto le fotografie su tela di Annelies Strba, con un sapiente contrasto fra colore e bianco/nero

Davvero molto bella anche la sezione dedicata al nostro Boccioni

All’ultimo piano una mostra temporanea in cui l’osservazione del contrasto tra bianco e nero offre molti spunti di riflessione. Io mi sono portato a casa le immagini di Melotti

e di Monica Bonvicini

Ernst Scheidegger – LAC Lugano

Dopo aver iniziato come pittore – è esposto un dipinto astratto subito ad inizio mostra – Ernst Scheidegger ha fatto una notevole carriera come fotografo. Le sue immagini sono molto contrastate e drammatiche, con ricco impiego della sottoesposizione, di sfocature e soggetti mossi.

Al LAC luganese ci si sofferma sui ritratti degli artisti. Talora in posa – Dalì, Chagall – più spesso colti mentre compiono la loro attività da artigiani, con grembiule, strumenti da lavoro, dipinti e sculture che si intravedono nelle inquadrature.

Anche quando si tratta di amici importanti come Max Bill non è sempre immediato collegare la fotografia con l’opera dell’artista

Impressionante è invece il ritratto che Alberto Giacometti fa di Scheidegger. Una tavolozza relativamente ridotta, di colori freddi – marroncino, azzurro, verde e grigio. Anche le due macchie rosse (la sciarpa e i polsini della camicia) appaiono smorte, come quei pastelli con cui si coloravano le fotografie in bianco e nero.

Aperto fino al 21 luglio

Rubaldo Merello

Merello è per me un carneade ligure, un artista di cui avrei continuato a non saper nulla se non mi fossi trovato questa retrospettiva all’ultimo piano del GAM genovese. Sempre diffidare della prima impressione: schizzi e disegni mostrano una contiguità con il liberty che mi porta a riconsiderare il debito di Giger verso questo genere artistico senza però incuriosirmi più di tanto. I dipinti mi obbligano a soffermarmi e ragionare. Su tutte le bancarelle domenicali trovo il promontorio visto dall’alto e incorniciato dagli alberi. Ma nessun pittore dilettante userà con tanta sicurezza i bordi rosso-malva che accentuano il verde complementare della verzura nè si preoccuperà di rendere con uguale attenzione la spuma delle onde che si disfano contro gli scogli.

Il malva – dice Nabokov – è per Proust il colore della memoria. Lo trovo – e non solo qui – nella colorazione delle colline del secondo piano, sugli alberi semi-spogli. Mi accorgo che questa tinta si sposa con il rosso aranciato e il giallo della vegetazione che assume così un brunito autunnale. E’ dunque una memoria che sa di nostalgia? Un Morgenrot che scivola in un’immagine di morte e disfacimento?

E sempre per rimanere in tema di letteratura liederistica mi sembra di poter illustrare il Winterreise con questi soli gemelli, che illuminano senza scaldarlo un bosco di castagni denudato dalla brutta stagione

Ma anche quando è estate Merello mi obbliga ad andare oltre la prima sensazione, l’epidermico mi piace. Ecco che osservo le macchie delle nubi, in un cielo poco più chiaro del mare, con la roccia iridescente su cui le pale delle piante grasse si dispongono in modo da consentire al pittore di immortalare i giochi di luce in un pomeriggio che sogna dei maelstrom immaginari.

E’ sempre una natura agitata, che prende per il bavero uno spettatore che prima osserva il piano liscio e uniforme del mare, poi il contrastante gomitolo variopinto del suolo e solo da ultimo le sagome nere degli ulivi si cui si concentra la visione. Un paesaggio che si dona solo al visitatore che ha pazienza di osservare, di cercare la bellezza sotto la scorza degli intorpiditi giorni estivi.

GAM Genova Nervi

L’arte ottocentesca non è il mio genere favorito, posso anche apprezzarne il rigore formale e il virtuosismo tecnico, come in questa bimbetta gioiosa, ma in generale non mi entusiasmo.

Cambia la solfa con questo Nomellini in cui a suscitare il mio interesse non è soltanto la spalla della gentil donna, ma il suo abito che si scioglie in un turbinio di sfumature di colore.

E’ il mondo del liberty. Lo vediamo dalla quantità di giovani dalle forme sinuose (che mi ricordano la pubblicità del Plasmon) impegnati con ghirlande di fiori in un crescendo di luminosità che culmina nel tessuto rosso-aranciato che prende il volo sul lato destro. Ovviamente c’è tutta la tecnica divisionista, ben visibile non solo sulle erbe tra le quali corrono i personaggi ma sopra tutto nel cielo.

Pompeo Mariani ha un occhio puntato all’attualità divisionista, con la sua denuncia sociale (i dark satanic mills rosso sangue della fascia centrale che contrastano con i colori freddi delle parti alte e basse del dipinto) e con l’altro occhio guarda alla pittura di genere alla Induno con il bacio del marinaio in partenza.

Le sezioni novecentesche della GAM genovese offrono tantissime chicche tra le quali non riesco obiettivamente a fare una scelta. Mi accontento dell’alterazione cromatica del mare saturo del sangue dei tonni

e di Alberto Martini, rappresentato da due opere. Un presepe circolare, chiuso da tre cipressi, dai magi e da due oranti che abbracciano la sacra famiglia mentre il pastore suona la sua zampogna nella parte posteriore del gruppo
e soprattutto questa Convalescente, dai capelli sudati, la vestaglietta che si appiccica a un corpo smagrito che fatica a tenere aperto il libro. Uno sguardo intimo cui non sono insensibile.

Castello di Rivoli – Fondazione CRC

La Cassa di Risparmio di Cuneo ha sicuramente una collezione interessante ma l’allestimento della mostra temporanea al castello di Rivoli non mi ha entusiasmato. Un paio di tabelloni dà uno schema dell’esposizione con i titoli dei quadri che si trovano appesi lungo tutte le pareti in un modo che se ricorda le quadrerie settecentesche non facilita affatto la fruizione dei lavori. E le targhettine appese al muro non aiutano affatto a identificare i quadri esposti. Se ci aggiungo l’assenza di spiegazioni sugli autori e sulle loro opere mi trovo di fronte a una mostra monca. Non ho purtroppo la possibilità di approfondire e capire meglio gli artisti, il perchè delle loro scelte, dei materiali, del linguaggio espressivo adottato. Peccato, perchè non solo il contrasto con l’abbondanza di notizie offerte dalla collezione permanente è grande ma sopra tutto perchè le opere esposte hanno certamente molto da dire anche a un visitatore disattento.

Castello di Rivoli – Fabio Mauri

A che serve una esposizione che non insegna nulla di nuovo? Qui abbiamo la possibilità di conoscere una voce originale del panorama artistico italiano, una persona che ha sofferto – è stata in manicomio, dove ha subito diversi elettrochoc – non ha avuto esitazione alcuna a esprimersi contro la dittatura e l’antisemitismo. Anche quando offre opere figurative sceglie di lasciarle senza titolo, come se noi spettatori dovessimo avere la libertà totale di riempire con la nostra persona quello che l’artista ha lasciato sul foglio. Disegni, fotografie, monocromi e non solo: impressionante la “sedia di pelle ebrea” a fianco della fotografia di una donna nuda che reca sul petto una stella di David. Di che far pensare in questi tempi tormentati. Il fastidioso peso al petto che mi opprime quando esco dalla sala certifica che la mia visita non è stata inutile.

Gallerie d’Italia – Milano – Moroni

Lucia Vertova Agosti ha uno sguardo intenso. Una bella donna, indubbiamente, con dei riccioli rossi ben ordinati e i fiorellini all’orecchio come una Odette controriformata. Ma non è più giovanissima: si vedono le occhiaie, il tessuto del volto comincia a rilevare il gonfiore dell’età, indovino pure qualche ruga sulla fronte. La sincerità di questo ritratto giustifica la visita della mostra che Gallerie d’Italia dedica in Milano a Giovanni Battista Moroni.

Spesso i curatori mettono fianco a fianco quadri di Moroni con opere di altri autori che lo hanno ispirato. La posa di questo Alessandro Vittoria è identica a quella di Giulio Romano nel dipinto di Tiziano.

Ancora più curiosa la somiglianza fra la Trinità di Lotto e quella di Moroni. Nel primo Dio è soltanto un’ombra indistinta e il Figlio è un Ecce homo che mostra a noi San Tommasi le proprie piaghe mentre poggia i piedi su un concretissimo iri da iri dantesco.

Nella versione di Moroni un solo arcobaleno appena accennato in vita di un Cristo Re che tiene in grembo un globo terrestre in cui si riconoscono non solo l’Asia, l’Africa e l’Europa ma anche il Brasile e la costa canadese. Alle sue spalle il Padre è un signore anziano che si è rimboccato le maniche della camicia come se fosse un coltivatore diretto.

Mi sembra poi il caso di citare questo Tiziano che vuole fare del virtuosismo dipingendo il suo prelato dietro un velo sottile. Man mano che lo sguardo scende nel terzo inferiore del quadro si accende la mia ammirazione per la poetica impressionistica dell’abito talare e per il modo con cui la mano infilata nel libro prende una consistenza degna dei Papi Urlanti di Bacon.

E se hanno ragione i curatori affermando che questo Uomo in nero anticipa i toni della pittura di inizio ‘900 non posso non ricordare quanta ricchezza di sfumature viene ricavata dalla passione controriformista per il nero (cito giusto en passant Van Dyck).

Museo archeologico di Atene

Mi viene da pensare al Museo Nazionale di Napoli, in buona parte chiuso ai visitatori, vuoi per la bassa stagione o per la mancanza di guardiani, ma pure così con un profluvio di materiale di immenso interesse che farebbe impallidire qualsiasi istituzione analoga. Ma dove li trovo questi resti musivi, certo, ricostruiti in gran parte… ma di commovente bellezza. I colori sono delicati, non hanno la volgare intensità cui spesso arrivano gli imperiali pompeiani. Mirabile anche la leggiadria del disegno.

Questi soldati pronti per la battaglia appaiono ingenui e primitivi, lontanissimi dall’eleganza dei vasi posteriori, ma proprio per questo mi pongono in contatto con un mondo che non conoscevo ancora.

Chi non ha visto la maschera dorata di Agamennone? Ma questa scatoletta ricoperta di lamine dorate in cui nuotano agilissimi animali?

E anche le teorie di fanciulli e fanciulli, che pensavo così risapute dai tempi del liceo, acquistano nuova vita.

Ceramico e Stoa

Il ceramico è un cimitero. Conobbe un momento di super lavoro ai tempi della peste quando, mancando il tempo per alloggiare degnamente le varie spoglie, la morte era veramente la livella di Totò. Non ce la debbono raccontare: anche dopo morto qualcuno ha diritto a una sepoltura più signorile che faccia restare a bocca aperta il turista del XXI secolo.
Anche nella vicina Stoà ci sono i VIP che sgomitano per la nostra attenzione. I pannelli elencano tutte le personalità in vista che sono passate da queste parti. Rimango più sulle mie. Non sono tanto sciovinista da paragonare queste rovine con analoghi reperti del nostro meridione. Anche se tutto appare più chiaro che a Siracusa, bisogna far frullare la fantasia per vedere case e strade. Gli uomini si stagliano invece subito e in modo chiaro: i cocci su cui i cittadini segnavano i nomi di quanti dovevano andare in esilio mostrano che in fondo, a tutte le epoche, l’importante è che si parli di noi.