Lonquich interpreta Diabelli e D960 a Voghera

Non se ne abbia a male Ciammarughi se continuo a non sapere perchè si debba fare il ritornello della 960 ma stasera, sentendo l’approccio sinfonico di Lonquich, la pregnanza dei suoi silenzi e il maestoso rallentando sulla chiusa dell’esposizione ho intuito che se non se ne ripete la prima parte questa sonata è monca. Non sono capace di dire se il pubblico stesse dormendo: il mio terrore che, di fronte a un silenzio, degli applausi potessero rompere la magia del primo movimento è stato dissipato in fretta dallo Gibet dell’Andantino, nella cui fase centrale quasi gridata ho immaginato le fugaci comparse del sole nella Winterreise. Era da tanto che non sentivo uno Schubert così mascolino, deciso e sopra tutto logico, che va diritto con precisione e rigore tacitiano alla meta chiara fin dall’inizio.

Già nella prima parte le Diabelli mi avevano fatto percepire che avrei avuto una serata agitata. Il tempo tagliato della prima variazione, energico ma non rapidissimo, viene preso con il piglio di chi vuole assaporare senza fretta l’orchestra nascosta nel pianoforte. Si motteggia la debolezza del compositore Diabelli se ne correggono le imperfezioni giocando sulla dinamica, aggiungendo una verve degna di Haydn alle ingenuità di un tema stupido.