La madre Lunetta Savino

La sindrome del nido vuoto. La tragedia non è la mancanza della figlia, neppure – tutto sommato – la partenza del marito per un convegno – vero, pretestuoso? – a Chieti. Ciò che sconvolge Anna è che ad andarsene sia stato il bambino Nicola, perso dietro Elodie, una donnaccia – va da sè. La madre spia ogni possibile litigio, ogni elemento che possa far tornare il ragazzo all’ovile, alle rassicuranti merende a pane, marmellata e tè (il caffè è la novità introdotta dall’altra).

Ci sono molte risate in sala, immagino anche di donne che non differiscono da Anna. Il bello del teatro e dei libri è che possiamo crederci diversi da quanto vi troviamo. Essi parlano sempre di altri, il nostro caso non è mai uguale. A giudicare dalla struttura della commedia si direbbe che il problema sia anche nella società: il marito si è costruito una vita fuori di casa, ha un lavoro che continua anche quando i figli se ne sono andati, non si sente inutile nel momento in cui è dentro le mura domestiche. Anzi… ad essere sinceri il suo orizzonte è sempre fuori del domicilio ed è forse proprio per questo che può sentire naturale il distacco dai figli. Non ci sono proclami femministi, il testo nudo e crudo fotografa la solitudine di chi non ha più ciò su cui ha investito tutta l’esistenza e non riesce a colmare il vuoto.

E non perchè siamo destinati a staccarci da tutto quanto amiamo – alla fine anche da noi stessi – che il vuoto che Anna fronteggia sia meno duro e triste.