Maestri cantori italiani – 62 Torino

“Viva il germano cantore!” proclama il coro festante al termine della registrazione. E’ inutile spendere tempo sui limiti delle traduzioni ritmiche, come sugli inevitabili tagli. Giusto segnalare che il compilatore del filmato youtube nella seconda parte della scena tra Sachs e Walther del terzo atto passa alla versione definitiva del Preislied per poi rientrare in carreggiata a livello del concertato conclusivo dopo il trillo di Eva. Molto verosimilmente gli mancava tutta la sezione in cui nasce la canzone di Gualtiero (sic!).

Ma che importa? Ci sono dei cantanti che – mirabile dictu!cantano. Dopo aver sentito il vergognoso Oro del Reno confezionato da Philippe Jordan in cui ci si esprimeva latrando ecco un Giuseppe Taddei dalla voce piena, calda, sensibile, capace di servirsi del banale canto, come facevano Ridderbusch e Stewart. Questo Sachs dà lezione di canto anche a noi ascoltatori, non solo a Luigi Infantino il quale dopo uno stentoreo Fanget an! passa al favoloso piano in cui descrive il progresso della primavera. E poi, che bel registro tenorile, naturale, senza l’efebica capponaggine dello sciagurato Floriano.

A me non piace che i melismi nella parodia di Beckmesser siano articolati quasi in staccato: il personaggio è già bastantemente ridicolo senza ulteriori sottolineature. Però quando si trattava di bastonare l’ebreo Wagner non si risparmiava nulla e Renato Capecchi ha un timbro sufficientemente chiaro e – soprattutto – l’intelligenza necessaria per dosare i diversi registri espressivi – parlati o cantati che siano.

Lascio da ultimo Lovro von Matacic perchè è commovente la cura con cui viene letta questa lunga e complessa partitura. Si capisce subito che ci troviamo davanti a un direttore superlativo. si noti la precisione di agogiche e dinamiche nell’ouverture. Il mio pallino però resta il preludio terzo, una chiara imitazione del primo movimento dell’ opera 131 di Beethoven – non a caso considerato da Wagner la descrizione della giornata-tipo di un artista. Dopo la parsifaliana morbidezza (sanft) degli archi, la prima entrata degli ottoni ferisce le orecchie con uno sforzato segnato e ribadito in partitura. La terza volta però è un pianissimo in cui i tromboni hanno una dolcezza che al compositore sarebbe piacuta molto. Mirabile! Sono quei tre minuti che valgono da soli le quattro ore abbondanti di questi germani cantori.