La Tetralogia sessantottina di Sawallisch

Fu trasmessa dal terzo programma radiofonico. Per l’occasione mio padre tirò fuori il librettino di Max Chop destinato a diventare la mia Bibbia nibelungica. Ero impegnato a distinguere il tema della carezza dalla decisione d’amare, dovevo accontentarmi della traduzione ritmica in un italiano incomprensibile, ricordo scaligero miracolosamente salvato in cantina… impossibile godere allora le sfumature espressive con cui Zoltan Kelemen passava nei dialoghi con Wotan dal sarcasmo all’ira, dalla prepotenza all’ipocrisia. Di sicuro c’è l’eco del lavoro fatto in quel medesimo tempo con Karajan a Salisburgo. Ma Theo Adam? Se penso a quanto sia legnoso e monocorde il Wotan della registrazione ufficiale con Karl Bohm, fatico a riconoscere il baritono: un vero Licht-Alberich, un essere che spende il proprio potere buono per degli scopi malvagi, non è un caso che il tema dell’anello si trasformi nella raffigurazione del Walhalla. Se non posso invocare Karajan debbo ammettere che Adam abbia preso qualcosa dall’aria del momento, che evidentemente gli anni del ’68 portavano seco una rivoluzione che doveva investire anche il modo di presentare l’armamentario mitologico wagneriano.

Prendiamo per esempio il celeberrimo Addio di Wotan in cui Sawallisch usa un tempo forsennato che permette a Theo Adam di abbandonare i panni del Dio per diventare un pover’uomo che canta ai quattro venti di essere orgoglioso di sua figlia, anche adesso che gli ha disubbidito – e forse, sotto sotto, proprio di più ora che lo ha lasciato. C’è una incredibile umanità in questo Wotan che, come un padre al matrimonio dell’erede, non riesce a contenere la commozione. E’ uno dei grandi momenti non solo dell’opera – nasce qui il linguaggio musicale di Rossella O’Hara – ma anche dell’interpretazione wagneriana.

Herbert Schachtsschneider disegna l’ambiguità di Loge senza fare del caratterismo alla Stolze ma senza accenti da Heldentenor. Ed anche Erwin Wohlfart risulta un eccezionale Mime, mai caricaturale – sia nel comico che nel tragico. Impressionante la Dominguez (Erda), poco stentoreo Tipton (Donner), notevole Fricka (Janis Martin), ottimo il coro.

.

Bella la coppia Cox-Kniplova. Quest’ultima una piacevolissima sorpresa, che alterna pianissimi strappalacrime (il compatimento pp per Siegfried cui bisogna dire che sua madre non tornerà più) alla veemente sicurezza con cui ricorda di essere stata una Valchiria. E del resto tanto è carezzevole all’inizio del “Ewig war ich” quanto eroica e sicura di sè nella conclusione di quest’aria così importante sentimentalmente per la coppia Richard-Cosima. Non sono certo le piccole difficoltà negli improvvisi cambi di registro durante la scena dell’immolazione a modificare il mio giudizio positivo su questa cantante.
Faccio a meno degli “hahahahaha” delle Valchirie, tra le quali spicca Irene Dalis, Waltraute anche nel Crepuscolo. Pretendo però che l’addio di Sieglinde venga fatto bene. Per i miei gusti la Hillebrecht urla troppo. Riesce a tenere salda la voce su Hehrstes Wunder ma vacilla pericolosamente nel seguito – così come non mi è piaciuta quando invoca l’arrivo dell’eroe nel finale della sua scena del primo atto (Wagner continua ad avere dei numeri come si deve anche nelle opere maggiori).

Immensa prova dell’orchestra Rai di Roma diretta da Sawallisch. Il tempo base è rapido (cosa quanto mai necessaria tra l’altro nel Crepuscolo). Ma questo non significa staticità. Non siamo imbrigliati in una generica corsa all’abisso: vedersi ad esempio la libertà delle agogiche nel monologo di Loge “Immer ist Undank”. Anche quando la fantasia di Wagner batte la fiacca, come nel primo atto del Sigfrido, Sawallisch evita di mantenere lo stesso tempo base e introduce una serie di sottili rallentando che mi evitano di crollare nella noia. Luminoso, flessibile, vivace. Sulle rive del Tevere, in un’epoca di scioperi, Sawallisch si muoveva in sincrono con quanto stava capitando sulla Salzach e che sarebbe poi sfociato non solo nella mancata Tetralogia scaligera ma pure nel ribaltamento operato dal Ring del centenario. A Roma, però, con esiti musicali davvero interessanti.